
Nella vita tutto è mistero.
René François Ghislain Magritte
(Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967)
I suoi contemporanei lo soprannominarono “saboteur tranquille”, per la sua capacità di instillare dubbi sul reale. Rappresentandolo.
Magritte non avvicina il reale per interpretarlo, né per ritrarlo.
Magritte avvicina il reale per mostrarne il mistero indefinibile.
Intenzione del suo lavoro è alludere al tutto come mistero e non definirlo.
LE SEIZE SEPTEMBRE
Anno: 1956 Formato: 116 x 85cm Tecnica: Olio su tela
Uno studioso al microscopio vede molto più di noi.
Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi.
Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia.
L’EMPIRE DES LUMIERES
È un’opera di René Magritte realizzata con colori ad olio e conservata nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Nello sfondo campeggia un cielo azzurro cosparso di vaporose nuvole bianche, invece in primo piano è stata rappresentata una strada buia con un lampione che rischiara debolmente un’abitazione immersa in un paesaggio cupo e puramente notturno. Le forme sono tridimensionali, la tecnica è impeccabile, quasi accademica, ma la particolarità del dipinto sta nella realtà che vi è rappresentata. L’opera accosta due momenti diversi, opposti tra loro: la metà superiore è vista in pieno giorno, quella inferiore di notte. La luminosità del sole è contrapposta alla sensazione di turbamento e “malessere” tradizionalmente collegato all’oscurità; l’obiettivo dell’artista è stato quello di creare un effetto di shock, di spaesamento nei confronti dello spettatore. Citando direttamente Magritte:
«Nell’Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un cielo notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia».
La poesia non ha nulla a che fare con la versificazione. Consiste in ciò che si trova nel mondo, al di qua di quanto ci è permesso di osservare. Cit. Magritte
LES AMANTS (LOVERS)
È un dipinto di René Magritte del 1928, realizzato con la tecnica dell’olio su tela (54cm x 73cm).
Dell’opera esistono due versioni, entrambe datate 1928, la prima attualmente è conservata presso la National Gallery of Australia, mentre la seconda si trova al Moma di New York donata dal collezionista privato Richard S. Zeisler.
Questo bacio fra i due amanti è un’immagine decisamente conturbante, che parla di morte e di impossibilità di comunicare. Nascosti dietro i loro sudari, si scambiano un amore muto incapace di un linguaggio diverso da quello del corpo, esprimendo una forte passione nonostante la mancanza di dialogo. Possiamo considerarlo il “bacio della morte”? Un bacio tra due defunti, o in procinto di essere tali? Privati dei sensi della vista e del tatto, dell’esperienza sensibile, agli amanti è vietato di conoscersi.
Le interpretazioni sono e saranno molteplici e la riflessione a cui l’opera deve condurre l’osservatore è stata da sempre la volontà dell’artista: un’interpretazione che non deve mai giungere ad una conclusione definitiva. Nascondendo i volti, rendendoli non visibili, il pittore vuole mostrare i molteplici significati del reale attraverso nuovi punti di vista.
Un “vedere oltre” esoterico, oracolare e non razionale che spesso si rifà anche alle poesia veggente di Arthur Rimbaud.
Come spiega lo stesso pittore:
« C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente. »
(René Magritte)
Caratteristica comune a tutte le opere è l’assenza di razionalità cosciente, il privilegiare costantemente la dimensione onirica, tematiche tipiche del movimento surrealista. Ci troviamo di fronte a un amore prigioniero dalla morte, che è ultimo ostacolo alla vita.
Inoltre il quadro è ricco di riferimenti ad un altro tema molto caro al pittore: la complessa questione del visibile e dell’invisibile, sul quale Magritte tornerà molto spesso. Egli stesso citerà in Le Parole e le immagini del 1929: « Un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso. »
(Da Le Parole e le immagini di René Magritte, 1929)
Questo rapporto tra visibilità, che nel quadro corrisponde a tutta quella serie di elementi in più rispetto ai due soggetti, e di invisibilità, dei volti dei due amanti, rimandano sempre a quell’immaginario onirico di un ipotetico sogno, che forse sogno non è.
La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, perché il significato stesso della mente è sconosciuto.
LA TRAHISON DES IMAGES (in italiano: il tradimento delle immagini)
L’intento di Magritte è quello di sottolineare la differenza tra l’oggetto reale e la sua rappresentazione.
La risposta alla domanda “cos’è?” non è “una pipa” ma appunto “è la rappresentazione di una pipa”. L’equivoco è dovuto alla convenzione che lega a ogni oggetto un nome. Per evidenziare la rottura delle convenzioni egli scrive “Questo non è una pipa”. Ovvero: tutto il quadro, immagine e didascalia, non sono nell’ordine delle cose bensì della rappresentazione. Linguaggio denotativo (“questa è una pipa” sul cartiglio che di solito la rappresenta per esempio a scuola per i bambini che imparano a leggere e scrivere) e metalinguaggio (i cartelli che indicano le cose non sono, in effetti, quelle cose: questo, ceci in francese e non “cette-ci” come sarebbe corretto) convergono e si appiattiscono nel quadro, costituendo un paradosso comunicativo che rientra tra quelli considerati dalla teoria del “doppio vincolo”, elaborata per comprendere le cause delle patologie comunicative. Esempio antico di tali paradossi, ma solo verbali: “vietato vietare”, oppure “io mento sempre” (paradosso del “mentitore cretese”). Il messaggio che il dipinto ci trasmette è di tipo filosofico e invita alla riflessione sulla complessità della comunicazione umana e dei suoi codici, verbali e non verbali. L’esplicito intento di Magritte attuato con la realizzazione di quest’opera risiede nel mettere in risalto la differenza di tangibilità e consistenza che il mondo della realtà ha con quello dei segni .
Non dipingo: utilizzo oggetti che hanno l’apparenza di quadri, perché il caso ha fatto sì che questa forma espressiva convenisse meglio ai miei sensi. Cit. Magritte
GOLCONDE
Golconda è un’opera di René Magritte. Raffigura una serie di uomini in bombetta che cadono giù dal cielo, come se si trattasse di una normale pioggia in una grande città. Magritte, come accade per altri dipinti, non dà una spiegazione tangibile del significato intrinseco dell’opera, ma rifacendoci alle basi della corrente surrealista possiamo dire che l’effetto di depaisement (spaesamento) è percepibile, per vari motivi. Una delle prime cose che ci rende straniti è l’idea prima del dipinto: uomini che cadono dal cielo, o uomini che si elevano da terra? E questo grazie a cosa? Ricordiamo che l’idea prima di Magritte riguardo al surrealismo è che sulla tela tutto ciò che viene rappresentato è mera rappresentazione, dunque il pittore è libero di rappresentare la realtà in modo non reale, con oggetti comuni posti in contesti non comuni. Un’altra domanda che ci si pone osservando questo dipinto è: ma le sagome nel cielo sono ombre o sono altri uomini? Nel primo caso ci si potrebbe benissimo rifare al concetto di bidimensionalità della tela, e dunque alla conseguente bidimensionalità del cielo. Nel secondo caso, più probabile dato che le sagome sono colorate e non rispettano i canoni della profondità, tutto diventa più complesso, ma al contempo interessante perché è come se Magritte volesse renderci partecipi di questo volo in maniera ancora più veritiera. Il titolo inoltre aiuta l’osservatore: ricordiamo che Golconda fu una antica città dell’India, ricca e potente: ciò potrebbe essere visto come utopico, proprio come la presenza di uomini tutti uguali sospesi in un cielo senza nuvole e di un azzurro piatto ed inespressivo e che possono permettersi di “camminare” nel cielo senza bisogno di avere ali.
Ogni epoca ha una sua coscienza propria che le altre epoche non sanno assimilare. Cit. Magritte
LE DOMAINE D’ARNHEIM
Il dominio di Arnheim, è un dipinto di cui esistono diverse versioni, ispirato all’omonimo racconto di Edgar Allan Poe. In tale racconto Poe descrive paesaggi e montagne. Magritte rappresenta una catena montuosa che assume la forma di un uccello. Non è chiaro, come in molti dipinti del pittore, se è l’uccello a farsi montagna, o la montagna, ad assumere tale forma. L’osservatore vede come attraverso una finestra, sul cui davanzale sono posate due uova, queste non pietrificate, ma vere. Il contrasto che emerge è anche tra la comune idea del volatile, che si libra in aria leggero e libero e la pesantezza della prigione in cui si trova, la pietra, la montagna blocca il suo volo, eterna la sua forma incatenandolo al suolo, con tutto il suo peso. Questo quadro ricorda per questo aspetto anche Il sapore delle lacrime, sempre dipinto da Magritte nel 1948, o anche I compagni della paura, del 1942, in cui le foglie si fanno uccelli o gli uccelli si fanno foglia, le ali reclinate, le radici li ancorano al suolo, impedendo loro di volare.
Ciò che bisogna dipingere è dato dall’ispirazione, che è l’evento in cui il pensiero è la somiglianza stessa. Cit. Magritte
LES VALEURS PERSONNELLES
In quest’opera è rappresentata una stanza, all’interno della quale troviamo oggetti che fanno parte della nostra quotidianità:un pettine, un fiammifero, un bicchiere ed un pennello da barba. Verso qesti oggetti il nostro oggetto è l’indifferenza, ma il pittore belga aumentando le loro dimensioni ha voluto ricordare il dominio che esercitano su di noi, quasi arrivando al punto di non poterne fare a meno. Questi quattro oggetti rappresentano, perfettamente, il piccolo borghese, la cui vita è da loro condizionata, e ciò vale anche per gli orizzonti delimitati. Infine quest’opera risulta essere un omaggio funzionale, ossia teso a conferire normalità ad un’immagine impossibile.
La pittura viene correttamente chiamata: un’arte della somiglianza. Cit. Magritte
LA CHAMBRE D’ECOUTE
“La camera d’ascolto”( 1958, olio su tela, 38×46 cm, Zurigo, Kunsthaus, donazione Walter Haefner) “L’amore dell’ignoto equivale all’amore della banalità: conoscere e pervenire a una conoscenza banale; agire è cercare la banalità dei sentimenti e delle sensazioni. Nessuna associazione di cose rivela mai che cosa possa riunire tali cose diverse: nessuna cosa rivela mai che cosa può farla apparire allo spirito. La banalità comune a tutte le cose è il mistero.” In quest’opera è rappresenta una banale mela che rivela la sua esistenza occupando tutta la stanza, riguardo ciò Sylvester fa cadere l’attenzione sul carattere claustrofobico dell’immagine, e dice:”La camera d’ascolto è forse l’immagine magrittiana più pura dell’ingrandimento…La stanza non ha lo spazio per nient’altro; non è possibile entrarvi. La mela è un’ invasore, una forza militare d’occupazione, un occupante a tutti i costi. Abbiamo subito una perdita di spazio. La mela…non solo occupa lo spazio del quadro ma si spinge anche nel nostro spazio, come se minacciasse un assalto”. Il titolo, però, allude al tentativo di rendere visibile il suono, e la sua capacità di propagarsi riempondo lo spazio. La mela, anche in altre versioni, è di un’ assoluta monocromia; infatti Magritte arriva alla saturazione acustica attraverso la saturazione cromatica, il mistero del suono attraverso la banalità della mela.
EXPO SALON DE MAI
LE VIOL, C.1934
LA REPRODUCTION INTERDITE, C.1937
THE SEARCH FOR THE ABSOLUTE
LE GRANDE FAMILLE
LA MALÉDICTION
LA CORDE SENSIBLE